autore: Valerio Caddeu

Grano duro e spalle larghe

Il dibattito sul grano duro importato e il suo contenuto in glifosato e tossine fungine è polarizzato, con le parti che dicono cose opposte e l’una che taccia l’altra di malafede, se non peggio.

Il glifosato è l’erbicida più efficace e usato al mondo, sospettato d’essere tra le cause del linfoma non-Hodgkin e di altre patologie oncologiche. Il grano proveniente dai climi freddi, incapace di giungere a maturazione completa, verrebbe trattato col glifosato per il completo disseccamento delle spighe prima della mietitura. La presenza di residui sembrerebbe confermata dall’Istat nella pasta prodotta con grani esteri, comunque molto al di sotto delle soglie minime di legge.

Giova ricordare che le soglie minime di legge sono valori arbitrari, in quanto non c’è certezza sul limite minimo di tossicità.

Il glifosato è però presente, seppur in quantità infinitesimali, anche nella pasta prodotta con grano italiano al 100%, anche se da noi l’uso dell’erbicida è vietato nelle fasi successive alla semina. Decenni di utilizzo incontrollato hanno fatto in modo che tracce del composto chimico siano ovunque, nelle falde acquifere, nella terra e nell’aria.

Le tossine fungine sono un rischio derivante dal trasporto in viaggi lunghissimi via mare, nelle stive delle navi, e i controlli a campione nei porti di destinazione potrebbero non essere sufficienti a neutralizzare la minaccia.

In ogni caso l’industria pastaria nazionale dipende per il 40% dalle importazioni, e i prezzi sono stabiliti nelle borse merci internazionali, in barba a legislazioni stringenti e buone pratiche agricole. Il rischio è la svalutazione del grano duro di alta qualità prodotto localmente, come succede in Sardegna.

Un bravo cerealicoltore deve praticare tutti gli accorgimenti che consentono di abbattere i costi e aumentare la qualità e la resa della coltura, ma soprattutto deve trovare la propria nicchia di mercato, o addirittura crearla, cercando di indurre il consumatore intermedio (il mulino, il pastaio, il panettiere) e finale (noi) a cercare il prodotto locale, la filiera garantita, che non provenga dall’altro capo del mondo a bordo di navi luride e coltivato chissà in quali condizioni.

Un bravissimo cerealicoltore investe in tecnologia e cerca di valorizzare il proprio grano, trasformandolo in azienda.

Distinguersi dagli altri vuol dire esporsi, diventare argomento delle chiacchiere da bar, attirarsi invidia e gelosie, soprattutto nei microcosmi agricoli dove domina l’abitudine alla sola ricerca di contributi pubblici, l’ordinarietà nella gestione dell’azienda e in generale l’adozione dell’accidia come stile di vita. Bisogna avere spalle larghe.

Ubaldo Medda ha spalle larghe, non solo metaforicamente, e l’entusiasmo di un ragazzino, a dispetto di un aspetto imponente. Dopo una vita a coltivare i fertili terreni di Pauli Arbarei, in Marmilla, in mezzo alle Giare, ha comprato l’attrezzatura per macinare il grano duro che proviene dai suoi campi: una macchina elegantissima, in legno e metallo laccato di bianco lucido. La macinazione è a pietra, ma non una pietra qualsiasi: il pregiatissimo granito di Buddusò. Il meccanismo consente di macinare a bassa temperatura, senza alterare le caratteristiche organolettiche e tecnologiche del grano.

La scelta delle varietà è un mix tra tradizione (Senatore Cappelli, l’unico grano duro della “battaglia del grano” ai tempi dell’autarchia fascista) e innovazione, grazie alle selezioni varietali delle stazioni sperimentali Agris Sardegna che da decenni valutano quali cereali si adattano meglio ai climi e ai suoli sardi, secondo l’esempio lasciato da Nazzareno Strampelli e portato avanti da Marco Dettori e i suoi colleghi.

Ubaldo ormai conosce le virtù di ogni grano duro che coltiva e trasforma, la quantità di cruschello che ciascuno produce, il migliore utilizzo tecnologico di ogni varietà e granulometria. Mi spiega la differenza tra i grani adatti alla pasta e quelli più vocati alla panificazione, la resa di ognuno in base alla scelta del setaccio, e i prodotti che ricava.

Il servizio che offre al territorio è molteplice: ora i suoi colleghi cerealicoltori possono macinare il grano duro, ma nel futuro anche il frumento tenero, a due passi da casa, e offrire al mercato qualcosa di più remunerativo; i panifici, le pizzerie, i laboratori di pasticceria possono trovare le materie prime senza ricorrere alla grande distribuzione, garantendo al consumatore finale la tracciabilità fino al campo preciso in cui è stato coltivato il grano, con qualità e sicurezza del prodotto ineguagliabili; ma non finisce qui.

Per completare la proposta, Ubaldo ha trovato in un paese limitrofo un’azienda che trasforma i suoi sfarinati migliori in ottima pasta secca di vari formati. I pacchetti di pasta fanno bella mostra di sé all’ingresso del mulino, vicino ai pacchi di semola nelle granulometrie proposte (semola fine, semola grossa, farina “fiore” di grano duro).

In Sardegna siamo pochi ma si produce molto più grano duro del fabbisogno interno. Il Mulino di Ubaldo Medda ci insegna che la sostenibilità e la ricerca della qualità sono realizzabili anche nei piccoli centri, e possono diventare la svolta della dell’economia rurale basata sulla cerealicoltura.

Certo, bisogna avere spalle larghe.

                                                                                                                                  Valerio Caddeu