autore: Valerio Caddeu

Coros, con il cuore

Si fa presto a dire Sardegna: in questo piccolo universo c’è un cambio di scenario ogni volta che ci si muove.
Abbiamo attraversato l’Isola lungo la sua malandata dorsale, la S.S. 131, punteggiata di cantieri ma ricca di paesaggi mozzafiato ai suoi lati, per poi addentrarci nel Coros, la subregione alle porte di Sassari in direzione di Alghero, in mezzo a ripide vallate calcaree, di un verde lussureggiante nonostante la pluviometria avara di quest’anno.
È il regno dell’oliva bosana, infatti la macchia mediterranea cede il passo a oliveti elegantissimi recintati da muri a secco, specie nelle parti più scoscese. Ogni tanto una vigna appena potata, molto probabilmente di Cagnulari, mostra il suo lato austero, in attesa dell’esplosione primaverile.
Ittiri è un grosso centro, elegante con le sue case padronali in stile liberty con sfumature déco in trachite rossa, ma legatissimo alle origini agricole. In pieno centro incontriamo nel suo punto vendita Rosa Canu, che ci accoglie con un sorriso radioso. Non c’è tempo per i convenevoli, Rosa vuole che ci facciamo un’idea chiara della sua impresa e ci conduce dove tutto ha inizio, in fondo alla valle del Cuga.
Del resto lei è attiva da prima dell’alba, ha già trasformato il latte della munta serale e di quella mattutina in formaggio, si è caricata le forme pronte all’affinamento per portarle in città insieme alla ricotta. Passiamo davanti alla chiesa campestre che da il nome all’azienda, San Leonardo, un piccolo gioiello romanico che in origine era a fondovalle e faceva parte di un villaggio probabilmente spopolato dalla peste oltre cinque secoli fa. Quando venne costruito l’invaso del Cuga la chiesa è stata smontata e ricostruita più in alto. Il lago del Cuga ne dovrebbe lambire il muro di cinta, ma come detto le piogge sono state poche, a stento c’è un rigagnolo.
In azienda ci accoglie un altro sorriso radioso, quello di Tomaso, fratello di Rosa e addetto alla cura del bestiame. Si tratta di circa 500 pecore di razza sarda, una parte delle quali riposa sotto una tettoia con gli agnelli e il resto pascola nelle valli intorno. La sala di mungitura è lucidata a specchio dopo l’utilizzo mattutino, Tomaso ha appena completato le operazioni antimeridiane con la sua solita precisione, quasi ci dispiace entrare a contaminare il suo lavoro.
Nell’ambiente attiguo, subito dopo la sala di refrigerazione, c’è il laboratorio dove Rosa produce i formaggi. L’occhio cade subito sulle presse di legno per la produzione della Fresa, il formaggio tipico di cui lei è l’unica produttrice ufficiale. Si tratta di cavalletti sormontati da due assi larghe e piatte, una sopra l’altra: in mezzo ci vanno le forme, avvolte in panni di cotone bianco, appena estratte dalle fuscelle, e la pressione si applica attraverso due morse a vite. Con questa tecnica si ottengono piccole forme di pecorino fresco a latte crudo, da consumare a poche settimane dalla produzione. Il risultato è meno intenso del classico pecorino, fresco e acidulo. Slow Food ne ha fatto Presidio, e Rosa spera che il suo esempio venga seguito da altri allevatori della zona i quali relegano questa tecnica alla produzione per autoconsumo.
Lavorare con la tecnica a latte crudo, senza pastorizzazione, è alla base della produzione di molti dei formaggi tipici della Sardegna. Rosa ne racconta le insidie: il controllo della flora batterica è irrinunciabile per un risultato ottimale. Occorrono capi sani e ben nutriti, una pulizia certosina di tutti i locali di lavorazione e monitoraggio costante dell’acidità della cagliata, con qualche accorgimento per abbassare il pH in modo naturale. Lo schiacciamento delle forme della fresa accelera il rilascio del siero, già facilitato dalla grana sottile durante la rottura della cagliata: in questo modo il latte estivo poteva essere trasformato a crudo con meno rischi di fermentazioni indesiderate indotte dalle alte temperature, e dunque gonfiori delle forme e sapori sgradevoli.
L’azienda produce anche pecorino tradizionale e ricotta, soprattutto nella versione mùstia (leggermente disidratata, salata e affumicata). La produzione è limitata, il latte residuo viene conferito quotidianamente ai caseifici industriali della zona.
Sulla via del ritorno a Ittiri non possiamo fare a meno di interrogare Rosa sugli usi e sulle pratiche gastronomiche di questo angolo di Sardegna, cerchiamo punti in comune e differenze: i dolci, le paste ripiene, i piatti delle feste…
Torniamo al punto vendita per scoprire che al piano inferiore, sotto una volta a botte in pietra calcarea si trova la cantina di affinamento: scansie di legno con forme a varia stagionatura, alcune appena cappate con l’olio, altre ricoperte dalle muffe nobili che ne affinano il gusto, altre ancora appena ripulite e pronte al confezionamento. Immersi in questo luogo magico, Rosa e Tomaso raccontano le storie della loro infanzia, quando il padre decise di non conferire più tutto il latte ai caseifici industriali e trasformare in proprio. La loro speranza è che la generazione successiva continui la loro opera, aprendo le porte di questo bellissimo edificio a degustazioni, visite, esperienze condivise.
Un brindisi col Cagnulari dell’ultima annata per suggellare questa visita, e ce ne andiamo quasi commossi dalla generosa ospitalità della famiglia Canu, certi che il viaggio insidioso sulla 131 sia molto più sopportabile con mete come questa.