autore: Valerio Caddeu

Voglio rinascere Capra in Barigadu

Tra le regioni storiche della Sardegna il Barigadu è una delle più interne, vicine al centro geografico dell’Isola. Vi si arriva salendo di quota, specie se si passa dal lago Omodeo, attraverso la zona caratterizzata dai novenari attorno alle chiese campestri. Il cartello dice “Neoneli – città del vino”, benché per arrivare alle famose vigne del Mandrolisai si debba attraversare l’altipiano e scendere nelle valli ad est.
Tutto si fa più chiaro attraverso i racconti di Angelo Bratzu, che su questi monti alleva capre e maiali: “il bosco di sughere è recente, qui prima era una sequenza di vigne e ciliegeti, separati da muretti a secco. Adesso in paese ci sono tre cantine, tutte piuttosto giovani. Le vigne erano terrazzate, coltivate nonostante la roccia affiorante e la terra poco profonda. Adesso in campagna non c’è più nessuno e il bosco ha ripreso i suoi spazi”.
Dal novenario che porta il suo nome, dedicato all’Arcangelo Gabriele ma per tutti S’Angelu, secentesca chiesa campestre teatro di una bella festa estiva, ci inoltriamo nel bosco tra i funghi che ci ricordano che siamo in autunno, nonostante il caldo. “Sono nato nel 1984, e da quando ho memoria ho sempre voluto fare il lavoro che faccio. I miei prosciutti e formaggi sono molto richiesti nelle botteghe, soprattutto a Cagliari, nonostante non faccia pubblicità”; il passaparola è quasi sempre garanzia di qualità, e i bottegai lo sanno bene.
Angelo ha un aspetto giovane, quando parla ti guarda negli occhi e capisci che ha interiorizzato la saggezza di chi ha camminato su queste terre prima di noi. Con orgoglio ci conduce al locale dove mette a stagionare i suoi prodotti, un eremo in pieno bosco. “Qui i venti forti non arrivano, ma la circolazione dell’aria è continua e mi consente un risultato soddisfacente”. Adesso il locale è vuoto ma con i primi freddi riprenderà a riempirsi.
Grazie a lui scopro l’esistenza dei palmenti, locali campestri costruiti come piccoli nuraghi con blocchi di pietra locale a secco, a cerchi concentrici, dotati all’esterno di una vasca squadrata scavata nella roccia. “Ogni vigna aveva il suo palmento, durante l’anno fungeva da ricovero per il guardiano e durante la vendemmia si accatastavano i sacchi di iuta o di pelle di capra pieni d’uva davanti alla vasca, in modo che, schiacciandoli con i piedi, il mosto si raccogliesse al suo interno”. Senza il suo racconto avrei pensato a piccoli nuraghi di epoca tardiva, invece la tradizione vinicola di questa zona è risalente almeno al medioevo, all’epoca giudicale, come riporta il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, principale fonte storica degli avvenimenti del XII e XIII secolo nel Giudicato di Arborea, in cui si fa menzione delle vigne di Neoneli.
Angelo vicino ai resti dei palmenti alleva le capre. Sono bellissime e curiose, vengono a mordicchiare i vestiti, a sentire gli odori, vivono all’ombra delle querce in un ampio recinto ma ogni giorno pascolano da queste parti. Ne ricava il latte senza cercare in alcun modo la quantità, e lo trasforma in formaggi pregiati. Non le alleva per la carne, tanto che le più anziane le ha messe in un recinto dedicato per continuare a viziarle. Mangiano al pascolo, fanno un ultimo spuntino su un erbaio seminato apposta, poi integrazione con cereali e legumi. In questo periodo sono ghiotte dei funghi che abbiamo visto prima.
Ci dirigiamo verso il paese con una sosta al luogo dove alleva i maiali e dove presto sorgerà il nuovo laboratorio, con locali dedicati alla lavorazione dei formaggi e alla norcineria. I maiali sono quasi tutti meticci, sparsi in un recinto enorme che abbraccia una collina di sughere e di cui non vediamo la fine sul fondovalle, dove c’è la pozza d’acqua. In due punti di quest’area ci sono i ricoveri e ogni animale sceglie il suo spazio preferito per dormire. La dieta è a base di cereali e legumi secchi, ad integrare ghiande, frutta selvatica e tutto quello che il bosco può offrire.
Ultima tappa: l’assaggio. In un seminterrato addobbato di prosciutti e guanciali appesi, chiedo gli ingredienti usati nella lavorazione. “Sale, pepe e aglio, pochissimo, che non si senta. Questo è l’aglio” dice, mostrando il classico bulbo minuscolo della varietà isolana. Mi sorprende il fatto che l’uso del sale sia tutt’altro che smodato, in modo da lasciare spazio ai sentori della carne. Il prosciutto, dal peso medio di sedici chili, ha un sapore dolce e intenso, a tratti balsamico, ricorda vagamente il ginepro e il cisto. Il guanciale arrotolato sprigiona sentori di frutta secca tostata, incredibile. La lonza è stata preparata salvaguardando parte del grasso, a differenza della maggioranza dei salumieri isolani, ed effettivamente rende l’esperienza più avvolgente e complessa. Chiudiamo con un formaggio di capra che ha la consistenza di un parmigiano reggiano, privo di unghia e apprezzato anche dal sottoscritto, nonostante non preferisca i formaggi caprini.
A Neoneli abbiamo trovato un altro mirabile esempio di benessere animale all’ennesima potenza, di arte sopraffina nella trasformazione dei prodotti e di resistenza nelle piccole comunità dell’entroterra, in contesti in cui lo spopolamento si può sconfiggere, ma solo valorizzando le risorse e riscoprendo i mestieri antichi con la consapevolezza attuale.
Se rinasco, voglio essere una capra in Barigadu.
Valerio Caddeu